Una nuova tecnica di diagnosi dell’autismo basata sull’intelligenza artificiale (IA) ha suscitato grande interesse nei media, alimentando discussioni sulla possibilità di una “svolta” nella diagnosi precoce di questo disturbo. Tuttavia, diversi esperti invitano alla cautela, evidenziando la complessità della condizione e i limiti attuali delle ricerche.
La scoperta
Il nuovo metodo consente di identificare le mutazioni genetiche legate all’autismo con un’accuratezza elevata, utilizzando un’avanzata tecnica di imaging cerebrale chiamata “morfometria basata sul trasporto”, sviluppata dal team del professor Gustavo K. Rohde presso l’Università della Virginia. Questo approccio promette di velocizzare il processo diagnostico, riducendo i tempi spesso lunghi e incerti attualmente necessari per diagnosticare l’autismo. Tuttavia, il ricercatore David Vagni, insieme ad associazioni come ANGSA e la Fondazione Italiana per l’Autismo, sottolinea che le mutazioni genetiche rilevabili rappresentano solo una piccola percentuale dei casi di autismo (20% circa) e in particolare le mutazioni in 16p11.2 solo lo 0,5-1% e, tra questi, solo il 20-30% delle persone affette sviluppa effettivamente l’autismo.
Questi numeri suggeriscono che parlare di “svolta” potrebbe essere fuorviante se non addirittura rischioso. L’autismo è una condizione estremamente eterogenea, influenzata anche da componenti ambientali e comportamentali: ridurre il disturbo a una questione puramente genetica rischia di oscurare la sua complessità, portando a semplificazioni dannose per la comprensione e il trattamento delle persone che ne sono affette.
Capacità straordinarie
Nonostante le critiche, diversi esperti riconoscono il potenziale dell’intelligenza artificiale in questa specifica applicazione. Tra questi, Marco Bertelli della Fondazione Italiana per l’Autismo sottolinea che la capacità dell’IA di gestire grandi quantità di dati aiuta a fare ordine nella complessità delle varie manifestazioni del disturbo, permettendo diagnosi più precise e personalizzate.